Se si legge il recente rapporto sulle multinazionali che il Centro Nuovo Modello di Sviluppo, guidato da Francuccio Gesualdi (ex allievo di Don Milani), produce ogni anno, ci si potrebbe forse rasserenare, non trovando nelle prime posizioni mondiali per fatturato le imprese che producono armi. Ma si tratterebbe di un inganno, di una sottovalutazione, non certo causata dalle intenzioni degli estensori del rapporto, che, solitamente, sono molto accurati e attenti. Il fatto è che le imprese che producono armi hanno un mercato ristretto agli Stati e ai soggetti che vorrebbero farsi Stato: quindi il numero dei clienti non è molto elevato. Inoltre accade che la produzione bellica si spalmi in diversi settori, non solo in quello esplicitamente etichettabile come industria armiera: per esempio, molta della produzione elettronica ha a che vedere con la produzione di attrezzature adatte a fare la guerra.
Ad ogni modo, al di là del volume dei fatturati, le imprese di morte fanno tendenza, sia riguardo alla distribuzione di potere all’interno degli Stati e dei gruppi di comando transnazionali, sia riguardo all’andamento dei mercati borsistici.
I giornali di sabato 21 novembre titolavano con una certa enfasi a proposito di quanto accaduto in Borsa dopo gli attentati di Parigi: la crescita dei valori azionari di società di produzione bellica come Lockheed Martin, BAE System e Finmeccanica è risultata subito significativa. Si vede che la prospettiva di un incremento del mercato per chi costruisce prodotti per la cosiddetta sicurezza, grazie ai terroristi islamisti, era diventata più rosea. La morte di più di un centinaio di persone, uccise in modo improvviso e assolutamente ingiustificato, può essere la fortuna dei proprietari di alcuni pacchetti azionari.
Ma la Borsa non sempre è razionale. Non è detto che l’industria bellica possa trascinare tutte le quotazioni al rialzo, anche se c’è qualcuno che si illude che il benessere si possa diffondere dall’alto in basso, dalle grandi multinazionali alle piccole imprese e poi, magari, fino all’ultimo pezzente che trova ricettacolo in un dormitorio pubblico. Infatti, se leggiamo i titoli dei giornali del 25 novembre, troviamo, per esempio ne Il Sole24Ore, questa significativa apertura: “La Turchia abbatte un caccia russo. Cadono le borse UE, sale il petrolio”. Questo ci fa capire che non è assolutamente detto che, anche in un logica strettamente capitalistica, la guerra sia sempre un bene. Ecco, sembrerebbe quasi che il sistema affaristico globale gradisca le minacce di guerra (per far crescere i fatturati delle industrie del settore), ma non gradisca la guerra guerreggiata, specie se coinvolge direttamente grandi e medie potenze. Per il Capitale forse va bene una guerra costante e limitata (tanto per bruciare un po’ di risparmio e accelerare le decisioni di qualche investimento); ma il Capitale non gradisce le esagerazioni, specie quando si tratta di prospettive di guerra globale fuori da ogni possibile controllo e di cui non si possono pianificare le conseguenze. E poi non bisogna dimenticare che gli speculatori, rialzisti o ribassisti che siano, colgono ogni occasione per incrementare i loro guadagni fondati sulla differenza delle quotazioni nel tempo e sulla circolazione di complicatissimi prodotti derivati.
Ad ogni modo, guerra o non guerra, minaccia efficace o inefficace, le imprese produttrici di armi hanno il loro spazio nella definizione della governance globale, anche se non possiamo immaginare ingenuamente, e come fossimo condizionati da una sorta di pensiero magico, che le guerre ci sono e si espandono sul Globo perché qualcuno ha deciso di arricchirsi vendendo armi: sarebbe una semplificazione eccessiva. Purtroppo le guerre sono generate da un insieme di numerose cause e non possiamo ridurre la complessità sociale a pochi fattori determinanti. Spiacente: la vita è un bel casino e a volte è difficile da spiegare.
Però è utile comprendere come si sviluppa il mercato delle armi. Alcune informazioni sono facilmente reperibili in rete: per esempio nel sito del SIPRI di Stoccolma o in altri siti da cui si ottengono informazioni sugli affari delle principali imprese armiere internazionali.
A titolo d’esempio, ci sembra utile riportare qui di seguito alcune informazioni.
Veniamo facilmente a sapere che l’Italia è l’ottavo esportatore di armi del Mondo, dopo USA, Russia, Cina, Germania, Francia, Regno Unito e Spagna. Sempre leggendo i rapporti del SIPRI, veniamo a sapere che i maggiori clienti delle armi italiane sono stati, negli ultimi anni, gli Emirati Arabi Uniti (per il 9 per cento), l’India (per il 9 per cento) e la Turchia (per l’8 per cento) e che l’export italiano è in crescita. Inoltre: i maggiori importatori di armi nel mondo sono India, Arabia Saudita, Cina, Emirati Arabi Uniti, Pakistan. Mentre la spesa militare statunitense è sempre di gran lunga la maggiore al Mondo: gli USA hanno speso, nel 2014, 610 miliardi di dollari in armi e affini (con una sottostima per quanto concerne spese collaterali, che figurano in altri settori del bilancio statale). A gran distanza la Cina, con 216 miliardi stimati e la Russia, con 84,5 miliardi stimati. Poi la sorpresa, non troppo sorprendente, dell’Arabia Saudita, con 80,8 miliardi. E via via gli altri: Francia, Regno Unito, India, Germania, Giappone, Corea del Sud, Brasile, Italia, Australia, Emirati Arabi Uniti, Turchia.
Tornando al tema del commercio di armi, si può fare qualche esempio di oggetti tecnologici che l’Italia vende all’estero. In Turchia, licenziataria, vanno 51 elicotteri di attacco AgustaWestland Mangusta A129: li usano anche contro i curdi, tanto per dire. In Oman vanno 10 AW 139, Negli Emirati andranno anche 3 esemplari del convertiplano AW 609 (un esemplare dei quali ha avuto un incidente con morti, nelle pianure vercellesi, poco tempo fa). E come tacere degli Eurofighter Typhoon fabbricati in consorzio? Ci sono contratti per 72 pezzi con l’Arabia Saudita (già 38 in servizio) e la recentissima commessa (settembre 2015) per 28 pezzi che andranno al Kuwait. Non meno attive sono le imprese che fabbricano armi leggere, quelle che poi ammazzano di più sui terreni di guerra: pistole, fucili, eccetera. La Beretta, per esempio, vende fucili d’assalto a diversi Paesi. Il Beretta ARX-160 è in possesso delle forze speciali albanesi, dell’esercito del Turkmenistan, di quello egiziano e di quello kazako. Il Beretta AR 70/90 va, tra gli altri posti, in Burkina Faso, in Egitto, in Giordania, in Lesotho, in Marocco, in Nigeria, in Zimbabwe. E il caro e mitico Beretta M12 (le cui vecchie versioni si sono viste a Saigon in mano agli agenti CIA in protezione all’ambasciata USA; e addirittura la Libia ha girato qualche pezzo di questi, a suo tempo, all’IRA irlandese) si usa, tra gli altri posti, in Algeria, in Arabia Saudita, in Bahrein, in Egitto, in Gabon, in Indonesia, in Iran, in Libia, in Nigeria, in Sudan, in Tunisia. Non si tratta certo di notizie segrete: si possono trovare persino nelle pagine di Wikipedia dedicate alle attrezzature in dotazione alle forze armate dei diversi Paesi del Mondo. E l’industria italiana ci fa un bel figurone, considerando che riesce a spillar quattrini anche a Stati dove la povertà è molto diffusa.
Se si muore in giro per il Pianeta, ciò è possibile anche grazie al made in Italy, bisogna ricordarlo. Certamente non è il commercio di armi, già lo si sottolineava in apertura, a determinare l’insorgenza e la continuazione di conflitti cruenti. E poi si può uccidere anche diversamente, magari in modo indiretto ma non meno spietato: attraverso la gestione e il controllo di derrate alimentari, di materie prime, di fonti di energia, di brevetti di farmaci, di risorse idriche scarse. Gli esseri umani sono abbastanza fantasiosi e sanno escogitare diversi metodi di sterminio, sempre più perfezionati da quel giorno del mitico assassinio di Abele. E però un qualche ragionamento sul fatto che decine di migliaia di posti di lavoro dipendono dalle decine di migliaia di morti in guerra bisognerà pure avere il coraggio di farlo: come tollerare che operai e tecnici italiani (come di altri paesi) debbano ringraziare, per il loro misero pane quotidiano, gli sterminatori alla guida di diversi Stati del nostro triste Pianeta?
Dom Argiropulo di Zab.